«L’architettura è l’adattarsi delle forme a forze contrarie» (J.Ruskin 1819-1900).
Il paesaggio ha molte interpretazioni e molti interpreti. Paesaggio o ambiente naturale? La differenza non è modesta.
Il paesaggio è opera dell’uomo, l’ambiente naturale, per chi crede, è opera sovraumana.
La natura, si dice e si sa, è natura; il paesaggio è cultura, ha specifiche valenze filosofiche, antropologiche, sociali e appunto culturali. In Italia, lo si può affermare con cognizione di causa, l’ambiente naturale quasi non esiste più, nel senso che l’uomo nel corso dei secoli e nella sua azione quotidiana ha costruito (sfruttando, addomesticando o utilizzando la natura) il paesaggio archivio della storia dell’uomo. Il paesaggio non appartiene tanto alla sfera della creatività, quanto a quella della manutenzione. E del restauro inteso quale restituzione.
La storia mostra spesso quale fosse l’essenza di una cultura del verde che nel Novecento (almeno in Italia) siamo stai del tutto incapaci di esprimere sia a livello privato (i parchi delle regge, ad esempio, sono stati realizzati fra ‘700 e ‘800), sia a livello collettivo (non si fanno più i giardini pubblici che abbellivano le città dello stato unificato). Gli stessi parchi nazionali realizzati mentre si distruggevano parchi e giardini privati, sono numericamente assai modesti rispetto agli altri paesi europei. Eppure la crescita oggi, soprattutto quella legata alle nuove tecnologie e quindi la crescita della qualità, non si manifesta più nei luoghi tradizionali, nelle metropoli costruite dalla società industriale, bensì in quelle parti o zone in cui l’ambiente possiede una qualità ed è ancora in grado di qualificare l’esistenza di chi lo abita.
All’interno stesso della società proiettata verso un consumismo sempre più esasperato, verso uno spreco sempre più insensato, si chiede un rapporto ecologico più corretto con l’ambiente naturale. Il fabbisogno di natura aumenta con l’aumentare del tempo libero, con l’esigenza di evadere dagli avvelenamenti quotidiani, con l’urgenza di qualificare le proprie condizioni di vita, anche se poi, forse per mancanza di un progetto alternativo, si finisce quasi sempre per continuare a consumare questo stesso ambiente come qualsiasi altro prodotto.
L’ipotesi progettuale tesa a realizzare un ambiente\parco esteso a tutto il territorio non edificato contrasta con le scelte attuali. Affermazione comune è quella secondo cui a tutti piacerebbe vivere in un parco, però le esigenze economiche e produttive impongono altre scelte territoriali. Dove si mettono le industrie? Dove si localizzano le discariche? Il business dei rifiuti ha le sue prerogative, condannando progressivamente tutto il territorio al degrado senza neanche aver provato a stabilire costi e ricavi, a ipotizzare possibili riconversioni produttive.
Facendo un esempio concreto di riconversione urbana di un territorio ormai usato e usurato dall’uomo, non possiamo non citare il caso di Saarbrucken, a circa 200 Km da Francoforte. Peter Latz e Gunther Bartholomai hanno progettato a metà degli anni ottanta, attraverso un percorso di progettazione partecipata che ha visto il coinvolgimento dei cittadini, Burger Park Harbour Port, un parco di circa 9 ettari che sorge sull’area dell’antico porto minerario della città e sulle rive del fiume Saar. Il progetto, molto suggestivo, è disseminato dai segni del passato infrastrutturale che sono sapientemente inclusi nel nuovo disegno; un disegno che riporta alla luce la bellezza originale della natura, attraverso l’elaborazione progettuale di un nuovo paesaggio urbano.
Link: http://www.latzundpartner.de/en/projekte/postindustrielle-landschaften/hafeninsel-saarbrucken-de/
(di Angelo Arch.Lanzetta, parte 1 di 2)